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Primo piano
          SCALA, ENTRE-DEUX
            PIANEROTTOLO,
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Una casa che si svela è, per forza, anche una casa che nasconde. La Tartugo si nasconde nei suoi passaggi, in quei luoghi di transito, dove il tempo è forse più pregnante che altrove, dove è più facile immaginare il movimento furtivo di corpi ormai divenuti spettri, che si spostano, passano, salgono, scendono, sfidano in un certo senso lo scorrere del tempo. Col gomito o con la mano sfiorano i muri, giustificando così la presenza delle decorazioni in finto marmo, dipinte nella parte bassa delle pareti proprio perché si vedano meno i segni delle loro impronte, gli andirivieni, l’usura del tempo, le loro tracce. Nella Tartugo odierna, è lì più che altrove che si rifugia, en passant, il gusto orientale del traduttore. Édouard aveva espresso lo stesso gusto nel giardino recintato, con le sue “follie” ispirate all'Esposizione Universale del 1900. Oggi, per mezzo del viaggiatore appassionato d’India che il nipote è diventato (questione di generazione, di sviluppo del trasporto aereo),  è come se Élisabeth vedesse entrare in casa sua, attraverso la porticina, le alcove, la scala, un po’ della casa della sua eroina Alexandra David-Neel, a Digne. Qualcosa a metà tra la camera chiusa una piramide egizia e lo sgabuzzino di un tempio buddista.
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Capita che una foto diventi iconica, anche solo per se stessi. È il caso di questa qui, che per motivi estetici non potrebbe essere replicata: è stata scattata in un momento preciso dell’arredamento della casa, un arredamento che cambia come si cambiano le tende, come cambiano le stagioni, e non sempre è la stagione delle mimose. Ma ci sono anche altri motivi, che riguardano il suo contenuto, la sua profondità simbolica. Innanzitutto ritrae il pianerottolo del primo piano, il piano nobile, e qui possiamo prendere il termine "palier" (pianerottolo, ma anche livello in una progressione ascendente) nel suo senso iniziatico. È una foto che parla di antenati e di come conserviamo la loro memoria. A sinistra, un sari in cotone giallo rappresenta la parte indiana della vita di Bernard, il traduttore, il “traghettatore”. A destra, un vecchio drappeggio in velluto rosso dei tempi dei bisnonni, utilizzato in particolare durante la prima del festival WEM (1997, Moulin à Huile di Carnoules), evidenzia bene la tendenza "teatrale” del luogo. La materia di laurea di Bernard era oltretutto legata al teatro per l’infanzia del  XIX secolo e in particolare al bambino che solleva la tenda per scoprire la verità degli adulti e altre creature fantastiche. I due santoni (un uomo e una donna), un po’ spaventosi perché in procinto di bruciare sul rogo, nella tradizione maltese rappresentano gli avi e sono dunque i mani della casa. Il pezzo forte è naturalmente il ritratto di Émilie, Héloïse, Victoire Broquier, madre di Berthe Signoret, madre di Édouard Turle. Di tutti i ritratti che Bernard e Didier hanno ritrovato nella casa, questo è l’unico dove il soggetto sorride, e dunque l’unico esposto, perché l’esposizione degli antenati porta con sé una pesantezza che nel quotidiano è preferibile evitare. Émilie Broquier ha il vantaggio supplementare di ricordare un po’ Marythé, moglie di Maurice e madre della presente generazione dei Turle. Così si chiude il cerchio in un profumo di mimose, come quelle che venivano lanciate in passato in occasione della parata dei fiori a Mentone e a Nizza, dove i parenti di Marythé hanno vissuto i loro ultimi anni.
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Qui sopra la scala tra il primo e il secondo piano. Foto (c) 2017 Rosita Carmona 
Il pianerottolo del secondo piano
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Come gli ospiti, in passato, non entravano nello studio di Édouard al pianterreno o nella camera da letto di Édouard e Mimi senza essere invitati, non si entra in quest’ultima stanza, divenuta oggi lo studio del traduttore, senza invito: è lì che la correlazione psicologica tra casa e individualità è più forte e più inviolabile. Al massimo, il curioso può sbirciare attraverso un velo il caos dello spirito cosiddetto “creativo” e la carta da parati a grandi fiori del 1929, che è facile scambiare per una carta da parati Biba degli anni ’70.
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