Per la sua funzione pratica, l'atelier, un tempo chiamato hangar perché non era un ambiente chiuso, è il luogo del cambiamento, proteiforme, continuamente modificato a seconda dell’uso che ne facevano i suoi occupanti. Come si vede qui sotto, in una fotografia di Mimi con la figlia Denise fatta poco dopo la sua costruzione, all’epoca ci veniva parcheggiato il carro.
Fu Eugène Boussuge a sistemare l’atelier e i suoi attrezzi vi rimasero per lungo tempo dopo la sua morte. L’elettricità, come ci racconta l’agenda di Édouard, fu portata soltanto nel gennaio del 1958. Al tempo di Édouard e di Maurice, l’atelier era dedicato all’attività agricola, ed era anche un’officina meccanica di saldatura. Al tempo di Bernard e Didier è piuttosto un giardino d’inverno, un atelier d’artista, anche se di tanto in tanto riprende la sua vecchia funzione di laboratorio.
In passato era quindi un luogo esposto a tutti i venti; oggi meno, dato che l’arco con il suo traliccio è diventato una finestra (in basso), la finestra a lato della terrazza principale è diventata una vetrata di bottiglie, la botola, ormai elemento fisso, non si apre e si chiude più quotidianamente, ma resta sempre alzata, sormontata da un vetro e affiancata da un muretto.
Il lavatoio serviva per il bucato, ma su di esso veniva steso anche il maiale una volta ucciso, e allora l’acqua si trasformava in sangue.